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Campionati e Risultati: RISULTATI CLASSIFICHE STATISTICHE COPPE DIRETTA

CALZOLARO, SENTI BIANCHI: "Non vengo in vacanza, voglio vincere tutto"

FILIPPO FELIGIONI
CALZOLARO – Gianmarco Bianchi, uno dei protagonisti delle scorse stagioni del Tiferno, ha deciso di lasciare la squadra tifernate e di accasarsi al Calzolaro, dove ritrova tanti amici conosciuti nel corso della sua carriera a cui aveva ripromesso che un giorno si sarebbero ritrovati per giocare con la stessa maglia.

Dopo l’emozionante stagione dello scorso anno con la casacca biancorossa del Tiferno 1919, coronata dalla conquista della promozione in Serie D, Bianchi lotterà con i suoi nuovi compagni in Prima Categoria per vincere il campionato e conquistare la tanto ambita Promozione, che permetterebbe alla squadra di mister Granci di entrare nella storia del Calzolaro.

Dopo 3 anni incredibili al Tiferno lasci la squadra che si è meritatamente guadagnata la Serie D. Perché hai preso questa decisione?
“Lo scorso anno mi sono accorto che arrivavo spesso stanco al campo di allenamento per via del lavoro e che spesso faticavo a seguire la rifinitura tattica del sabato prima della partita: quando si è giovani e senza una famiglia è più facile sopportare questi ritmi, ma una volta che si entra nel mondo del lavoro e si diventa padre diventa tutto più difficile da mandare avanti. Quest’anno in serie D sarebbero aumentati ancora di più il livello, l’intensità e la frequenza degli impegni e per me sarebbe stato impossibile rispettarli tutti. Sono una persona che si applica molto in quello che fa e quando prendo un impegno voglio onorarlo fino in fondo dando sempre il massimo: mi sono reso conto che non avrei potuto farlo quest’anno perché sono diventato padre e perché ho un lavoro che mi occupa gran parte della giornata e mi richiede spostamenti frequenti. È stata una decisione molto sofferta perché disputare la Serie D con la squadra della mia città è sempre stato un sogno. Mio padre (Roberto Bianchi, presidente del Tiferno) ha provato a convincermi e a farmi rimanere offrendomi anche un ruolo in società, ma poi ha capito che non sarei riuscito a rispettare gli impegni e ha accettato la mia decisione.”

Nel tuo post d’addio al Tiferno non avevi escluso la possibilità di continuare a giocare, magari in Prima Categoria. Sei stato di parola.
“Inizialmente avevo pensato di smettere perché non ero sicuro di poter replicare la stagione dello scorso anno, in cui nonostante gli impegni lavorativi e familiari ero riuscito a fare tutti gli allenamenti e a farmi trovare sempre pronto. Appena ho reso pubblica la notizia sono stato cercato da molte squadre di Promozione, tra cui Casa del Diavolo, Piccione e Selci, e questo mi ha reso molto orgoglioso, ma ho dovuto rifiutare perché non volevo allontanarmi troppo da casa. Circa una settimana dopo mi ha contattato Giulio Grilli del Calzolaro e mi ha chiesto se volevo giocare con loro per tenere fede alla promessa di rigiocare insieme, che ci eravamo fatti quando lui e Luca Dini avevano lasciato il Tiferno: è stata una sorpresa molto piacevole perché poter tornare a giocare con i miei amici della “banda di Lerchi” mi fa tornare indietro nel tempo e mi permette di conciliare meglio gli impegni. Prima di accettare ho parlato con il mister e gli ho detto che ho intenzione di impegnarmi al massimo e che cercherò di essere sempre presente, anche se a volte gli impegni familiari e lavorativi potrebbero avere la precedenza. Gli ho assicurato che non voglio venire al Calzolaro per stare in vacanza: il loro progetto è importante e ambizioso, perché la società punta alla vittoria del campionato e a migliorare i risultati dell’anno scorso e la mia fame di vittore non è da meno.”

Quando hai deciso di lasciare il Tiferno hai detto che nonostante alcuni momenti difficili, qualche sassolino dalle scarpe sei riuscito a togliertelo. Era una frase indirizzata a qualcuno in particolare?
“No, non mi rivolgevo a nessuno in particolare, ma era indirizzata alle voci che giravano sul mio conto lo scorso anno, messe in circolazione da alcune persone che dicevano che non ero un giocatore adatto all’Eccellenza. Solitamente le critiche sono stimolanti ed è giusto che ognuno possa dire la sua liberamente, ma avrei preferito sentire quelle voci direttamente dalle persone che le mettevano in giro e non da altri testimoni: è sempre meglio confrontarsi faccia a faccia. Soprattutto in finale di Coppa Italia, quando alcune persone hanno visto il mio nome tra i titolari hanno storto il naso, ma personalmente ho sempre pensato che il lavoro paga sempre e sono sempre riuscito a ritagliarmi il mio spazio con le prestazioni sul campo: con il gol in finale di Coppa Italia ho fatto ricredere tutti. Anche se non potrò tornare allo stadio da giocatore del Tiferno, lo farò come tifoso e non vedo l’ora di poterlo fare.”

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Nonostante alcune critiche la tua esperienza al Tiferno è stata incredibile: 4 trofei in 3 anni.
“Le prestazioni sul campo sono state incredibili e i risultati acquisiti sono il frutto del duro lavoro. Fin da piccolo mi hanno sempre detto “testa bassa e lavorare” e penso che i trofei vinti in questi anni nascano proprio dall’etica del lavoro e dal sacrificio di tutta la squadra. Il mister Massimiliano Santececca mi ha reinventato in un ruolo inedito per me, facendomi giocare terzino nonostante io avessi giocato sempre in centrocampo: è stata una nuova sfida anche per me e impegnandomi sono riuscito ad adattarmi in fretta e ad aiutare la squadra anche in quel ruolo. Sicuramente avremmo preferito vincere il campionato sul campo, ma nel complesso credo che il titolo sia meritato perché abbiamo fatto una stagione strepitosa. Lo scorso anno però è stato complicato a livello personale, perché ho perso mia mamma poco prima dell’inizio della nuova stagione e la prima partita che ho giocato è stata proprio a San Sisto, dove dal campo si vedono le camere del Silvestrini in cui avevo passato gli ultimi mesi con lei: giocare con il lutto al braccio è stato distruttivo dal punto di vista mentale e molto difficile da superare, soprattutto i primi mesi. Ad inizio anno avevo preso un impegno coi miei compagni e sentivo il dovere di portarlo a termine: grazie al loro aiuto e a quello del capitano Simone Eramo e del mister sono riuscito a continuare a giocare con una motivazione in più. Il punto di svolta è stato la partita di Coppa Italia con il Lama e quella con l’Orvietana, in cui sono riuscito a dare il meglio di me e a ripartire anche mentalmente.”

Per te il Tiferno era soprattutto una famiglia e hai detto che tuo padre ti ha offerto anche un ruolo da dirigente: ti ha chiesto qualche consiglio in vista della prossima stagione?
“Si, ogni tanto si confronta con me e mi chiede un parere, ma penso che per ora la società stia facendo un lavoro eccelso: Peluso non ha bisogno di presentazioni, Briganti lo conosciamo tutti e Gorini è un ottimo giocatore che sa far girare la squadra. L’unico consiglio che ho dato ai dirigenti è stato quello di costruire una squadra fatta di persone che abbiano passione e voglia di giocare e che siano orgogliosi di rappresentare la città quando scendono in campo, perché le partite e i campionati si vincono con il gruppo, non con i nomi dei singoli. Lo scorso anno lo abbiamo dimostrato.”

Dopo la vittoria dello scorso anno sei stato soprannominato “l’uomo di coppa”. Quest’anno dovrai essere anche “l’uomo del campionato” per il Calzolaro!
“Quando ho parlato con la società ho promesso di dare il massimo e l’esperienza dello scorso anno mi sarà utile perché mi ha insegnato l’importanza di adattarsi a nuovi ruoli, anche se preferisco sempre giocare come interno sinistro. L’intenzione della squadra e della società è quella di vincere ogni partita e di arrivare nelle zone alte della classifica per raggiungere una Promozione che sarebbe storica per il Calzolaro, perché non è mai stata raggiunta fino ad ora. Il campionato però è molto competitivo e anche se il calciomercato è iniziato da poco e molti giocatori devono ancora accasarsi, le squadre stanno già iniziando a muoversi perché tutti possono ambire a vincere il titolo. Lo scorso anno la squadra è arrivata quarta in campionato e quest’anno puntiamo a migliorare il nostro piazzamento, anche se dovremo vedercela con squadre agguerrite come Cerbara e Virtus Sangiustino: mi ricordo che quando ero al Lerchi e lottavamo per la promozione è stato difficilissimo conquistare dei punti con le ultime della classifica proprio perché il campionato era molto equilibrato. Dovremo essere concentrati e determinati a vincere, perché se pensiamo di avere già il titolo in tasca rischiamo di collezionare solo figuracce.”

Pensi che la pausa prolungata di questo periodo influenzerà l’andamento della prossima stagione?
“Questo non possiamo saperlo con certezza, anche perché per ora non è stato ancora deciso niente sulla prossima stagione e se mancano le normative della federazione sarà impossibile giocare in sicurezza. Se ci saranno le condizioni giuste per giocare saremo i primi ad essere entusiasti di ripartire, ma è impossibile pensare che i campionati dilettanti possano rispettare le stesse normative che sono state studiate per le categorie dei professionisti. Il calcio non può mancare nelle nostre vite perché è anche una valvola di sfogo che ci permette di dimenticare i problemi del lavoro e della famiglia: sicuramente non vediamo l’ora di poter ricominciare perché non riusciamo a stare senza calcio e per questo mi aspetto che vengano adottate tutte le misure di sicurezza necessarie per tutelare i giocatori dilettanti. Spero che questo periodo sia stato solo un momento di buio e che presto potremo tornare a rivedere la luce.”

Dopo tante stagioni in campo tra Promozione, Eccellenza e Serie D hai scelto di scendere in Prima Categoria perché non vuoi abbandonare questo sport. Cos’è il calcio per Gianmarco?
“Il calcio è una passione senza limiti che mi ha trasmesso mio zio Corrado Bernicchi. Fin da bambino sono sempre stato un tifoso sfegatato della Juventus e per questo guardavo a Del Piero, Zidane e Baggio come punti di riferimento da cui prendere spunto, anche perché erano giocatori che andavano in campo per divertirsi e per passione. Ho iniziato a giocare alla Tiferno 90 quando avevo solo 4 anni e da lì non ho mai smesso: i miei genitori mi hanno sempre seguito fino a quando ho esordito in Eccellenza col Trestina quando avevo sedici anni. Poi ho deciso di fare una scelta coraggiosa che mi ha cambiato la vita, rinunciando a giocare in Serie D e scegliendo andare in Promozione a Villabiagio per poter frequentare l’università. Anche se ho rinunciato a giocare con il mister Giovanni Cornacchini che ha allenato in Serie A non mi sono mai pentito della mia scelta perché diventare avvocato era sempre stato un mio sogno e rappresentava una professione più stabile rispetto a quella del calciatore. Il calcio per me è sempre stato più un divertimento che un lavoro ed è proprio perché ho sempre avuto questa concezione che ho potuto rendere al massimo delle mie possibilità. È anche il motivo per cui ho scelto il Calzolaro, rifiutando compensi economici maggiori e preferendo l’amicizia e il divertimento. Mi sento pronto per questa nuova avventura e non vedo l’ora di ricominciare, anche se un pezzo del mio cuore sarà sempre al Tiferno, di cui sarò sempre il primo tifoso.”

Nella foto di copertina, di Ivana Cangi, Gianmarco Bianchi in casacca Tiferno 1919 

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  Scritto da Filippo Feligioni il 25/07/2020
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